Tratto da: Le Grandi Profezie  Autore Franco Cuomo

Newton & Compton Editori

Le spose di Dio

Moltissime religiose furono latrici di profezie divenute in certi casi famose, a partire dalla fine del Seicento, per l'intero secolo dell'Illuminismo e della rivoluzione francese, con interessanti strascichi nell'Ottocento e perfino ai giorni nostri. Riprese così una consuetudine ch'era stata molto diffusa nel Medioevo - e che aveva coinvolto grandi donne della cristianità, come Brigida di Svezia e Caterina da Siena - per poi decadere in epoca rinascimentale, fino a scomparire con il veto posto dal quinto concilio lateranense all'esercizio delle pratiche divinatorie, nel 1516, specificamente rivolto a impedire le predizioni apocalittiche. Dettaglio non da poco, quest'ultimo, visto che una costante delle profezie formulate dalle sibille cristiane fu la visione escatologica della fine del mondo. L'altra costante fu il rapporto epitalamico con Dio, cioè nuziale in senso mistico, per il quale furono in molte a ritenere di potersi considerare, nei loro abbandoni visionari, sue spose.

Il caso della monaca di Dresda è tra i più vistosi, ma non l'unico nel quale il millenarismo acquisì uno spessore per così dire scientifico, grazie a un'analisi razionale del processo involutivo dell'uomo, sia pure nel senso più lato che si possa immaginare, senza rinunciare a quei nitidi deliri che accomunano certe visioni profetiche all'estasi dei santi. "Videro" allo stesso modo la fine del mondo ed eventi connessi al più ordinario decorso della storia, come le guerre, le rivoluzioni e le vicissitudini dei potenti, suore di varia cultura ed estrazione sociale, dedite per lo più all'isolamento e alla contemplazione. Ci furono tra loro delle stigmatizzate, come l'agostiniana Caterina Emmerich, che riconobbe più volte l'anticristo nelle sue visioni; appassionate muse profetiche della grandezza di un papa, come la domenicana Colomba Ardente, che previde con dovizia di particolari l'elezione di Pio IX; donne in fama di operare miracoli e guarigioni, come la terziaria francescana Teresa Gardi; anonime veggenti celate dietro lo schermo di un pittoresco appellativo, come la «Sibilla dell'ultimo cielo»; e tante altre creature vissute all'ombra dei conventi, cui le grate della clausura non impedirono di scrutare scenari lontanissimi e tremendi, ma anche le più vicine stanze della quotidianità, preannunciando sémplici eventi di ordinaria amministrazione, poi realmente avvenuti a breve termine.

Furono questi ultimi, in molti casi, più delle profezie sui destini estremi dell'umanità, ad avallare la credibilità di una veggente, data l'immediata possibilità di riscontri, e a procurarle una popolarità spesso smisurata, tale da richiamare su di lei l'attenzione dei potenti.

L'anticristo rivoluzionario di Jeanne La Royer

Si distinse tra le monache veggenti del Settecento, per le accuse rivolte alle gerarchie ecclesiastiche negli anni della Rivoluzione francese, che aveva previsto, Jeanne La Royer, vissuta nel monastero di Fougères nella seconda metà del secolo.

Donna di scarsa cultura, al punto da essere ritenuta analfabeta, come la più celebre consorella di Dresda, acquistò popolarità sostenendo con notevole anticipo sulla Rivoluzione di avere veduto «una grande potenza alzarsi contro i cieli e saccheggiare la vigna di Dio, tanto da trasformarla in una pubblica strada». Fu più esplicita nel descrivere «la Francia divenuta uno sterminato deserto, pervaso da una solitudine spaventosa, diviso in province simili a lande desolate, attraversate da viandanti che rubavano e distruggevano ogni cosa».

Lamentava con particolare slancio, in queste sue prime profezie, l'opportunismo e la vigliaccheria dei preti che si sarebbero sottoposti all'ordine repubblicano, accettandone le condizioni. Li definiva «codardi, indegni, falsi pastori, lupi camuffati con la pelle di agnello [...] entrati nell'ovile con il solo scopo di raggirare le anime semplici, sgozzare il gregge di Dio e consentire la profanazione degli altari».

Avvertì, nonostante l'ignoranza che le si attribuiva, il peso antireligioso della filosofia illuminista, demonizzandola con un'allegoria visionaria: «Vidi un giorno su di una montagna un albero verde e forte, carico di fiori e frutti. Ne vidi un secondo a pochi passi, molto meno forte, ma che sembrava della stessa specie. Tra i due ne stava sorgendo un terzo, che parve ai miei occhi destinato a crescere tanto da superare gli altri [...] Ma una voce gridò: "Tagliate le radici di quest'albero e distruggetelo per sempre". Chiesi perché, e mi fu detto che il primo albero era la Chiesa, il secondo era la pianta degli ordini religiosi nati alla sua ombra, il terzo rappresentava le filosofìe che negli ultimi tempi tenteranno di avvelenare il messaggio del Cristo».

In quelli che chiamava gli ultimi tempi, del resto, Jeanne La Royer credeva già di esserci, considerando la rivoluzione francese come una sorta di apocalisse, destinata a evolversi in stragi e guerre mondiali. E come in ogni apocalisse che si rispetti, il male sarebbe stato devastante ma non trionfante. All'anticristo rivoluzionario si sarebbe contrapposto il Cristo restauratore: «Verranno imposti falsi culti [come avvenne con la dea Ragione] ma saranno successivamente aboliti [come avvenne con la restaurazione] e saranno ripristinate le antiche tradizioni».

La profezia si realizzò in tempi brevi, con la fine dell'ordine repubblicano e poi napoleonico, ma Jeanne non ebbe modo di assistervi, essendo morta nel 1798.

Tra i segni che avrebbero mostrato in futuro l'infiltrazione di forze sataniche nella Chiesa romana ci sarebbe stato, predisse, la soppressione della «lingua delle catacombe», cioè del latino, dai suoi riti. Si sarebbe trattato, denunciò, di un preciso intento antireligioso, volto a spogliare la liturgia della sua mistica veste originaria. Se si prende per buona tale analisi, l'abolizione della messa in latino dovrebbe significare per questi nostri tempi che l'anticristo è ormai giunto.

Ma insieme all'anticristo dovrebbe sopraggiungere nuovamente anche il Cristo. Jeanne comunica di averne ricevuto l'annuncio in visione da Lui stesso: «L'immagine del mondo sta passando e il giorno della mia ultima venuta si avvicina. Quando il sole sta per tramontare, si dice che il giorno finisce e la notte sta per giungere. Per me tutti i secoli sono come un solo giorno. Calcola tu quanto dovrà durare ancora il mondo dal percorso che ancora il sole deve compiere...».

Queste ultime parole dovrebbero contenere una chiave sui tempi della fine del mondo, ma la sola cosa che se ne può dedurre è la relatività delle convenzioni cronologiche d'uso corrente.

Alla stessa fonte divina Jeanne La Royer attribuisce i giudizi sulle gerarchie ecclesiastiche, consimili ad altri registrati, sempre per via ritenuta sovrannaturale, in tempi più recenti: «Non hanno più il diritto di parlare in mio nome, perché hanno tradito la causa della mia Chiesa... Qualunque cosa pretendano da voi, non esauditeli... Separatevi da loro...».

I preti che la monaca incontra nelle sue visioni premonitrici sono sempre «rivestiti di camici elegantissimi e finissimi, come per una festa solenne, ma non indossano pianete né piviali. Sono leziosi e ben curati, di portamento allegro...». Sono, in due parole, simpatici e spregiudicati, di una disinvoltura accattivante, ma la solita voce avverte: «Attenta, figlia mia, non fidarti».

La Sibilla dell'ultimo cielo

La corruzione della Chiesa di Roma nel generale disfacimento del mondo ricorre anche nelle visioni della «Sibilla dell'ultimo cielo», una