Tratto da: Le Grandi Profezie  Autore Franco Cuomo

Newton & Compton Editori

 

La grande illusione rinascimentale

 

Anche l'esercizio dell'arte profetica, come ogni manifestazione del pensiero, risentì del grande processo evolutivo rinascimentale, ten­dente a porre le basi per una rinnovata concezione del sapere univer­sale. Il criterio dominante, da parte di quanti avevano fissato le nuove regole della ricerca scientifica e filosofica, era stato quello di intende­re la conoscenza come sintesi delle materie più disparate, in modo da costituire per l'intellettuale rinascimentale - per lo scienziato come per l'artista e il letterato - un patrimonio comprensivo di nozioni d'o­gni genere, d'ordine naturalistico e metafisico al tempo stesso, medi­co e filosofico, matematico e letterario, alchemico e religioso.

Non furono più soltanto gli astrologi e gli indovini, dunque, a diffon­dere profezie, ma sapienti destinati a eccellere in molti altri campi dello scibile, medici e naturalisti come il grande Paracelso, filosofi come Marsilio Ficino e Giordano Bruno, artisti e inventori della statura di Leonardo, polemisti animati come Savonarola da una fede impetuosa e riformatori impegnati come Luterò a sconvolgere gli scenari della cri­stianità occidentale.

 

 

Paracelso tra superuomo e homunculus

 

Uno dei più singolari e completi protagonisti di questa grande saga dell'ingegno umano - di questo fervore intellettuale rivolto a produr­re una visione del tutto nuova del mondo - fu lo svizzero Teofrasto Bombast von Hohenheim, detto Paracelso, medico e figlio di medico, istruito dal padre alla professione e poi laureato all'università di Basilea. Ma oltre a studiare medicina e filosofia, il giovane Hohenheim si dedicò all'alchimia sotto la guida dell'abate Tritemio1 - uno dei più eruditi occultisti del suo tempo - e allo studio dei metalli. Perfezionò queste sue conoscenze lavorando per conto di un anomalo ricco alchimista della cerchia di Tritemio, tale Fugger, pro­prietario di banche e miniere, che gli consentì di effettuare uno studio approfondito del mondo minerale presso certe sue cave rocciose in Tiralo.

Da questo intreccio tra discipline così apparentemente lontane sca­turirono le premesse per la moderna medicina omeopatica, poiché Paracelso, elaborando una sua complessa teoria sulla «intersezione dell'organismo umano con l'universo», giunse alla conclusione che il simile va curato con il simile. Ne derivarono nuovi sistemi di cura, fondati sull'uso terapeutico delle sostanze minerali e di altri prodotti naturali.

La teoria di Paracelso non era del tutto esente da suggestioni magiche, fondandosi sulla convinzione che potesse sussistere una diretta corrispondenza tra il macro e il microcosmo, cioè tra l'universo e il corpo umano, ma nella sostanza prevalse un indirizzo sperimentale, che portò a risultati di grande interesse scientifico, come la prima intuizione dell'esistenza di un rapporto di causalità tra germi e malattie.

 È evidente che queste nuove teorie non potevano non scontrarsi con la medicina ufficiale, sostenuta dalle frange più retrive del clero, sia cattolico che luterano, reso diffidente dalle implicazioni teologi­che della filosofia naturale proposta da Paracelso. Che poneva come preambolo della sua ricerca scientifica una netta distinzione tra rive­lazione divina e - come la definì nei suoi Sermoni - rivelazione natu­rale, sostenendo che per ottenere quest'ultima ciascuno deve agire di propria iniziativa, attraverso l'osservazione diretta dei fenomeni e la sperimentazione.

Contribuiva poi a porlo in odore di eresia il fatto che, nell'esporre la sua dottrina sul rapporto tra l'universo e il corpo umano, si avventu­rava in pericolose considerazioni sull'anima e sulle sue corrisponden­ze astrali.

Accrebbe il risentimento accademico e la prevenzione ecclesiastica la sua decisione di tenere lezioni in lingua volgare, anziché in latino, all'università di Basilea, dov'era stato chiamato a insegnare poco più che trentenne, nel 1526. Le tensioni si inasprirono quando contestò le teorie mediche di Galeno e Avicenna, giungendo all'eccesso di bruciarne pubblicamente le opere. Ne trassero pretesto i suoi detrattori per costringerlo a lasciare Basilea.

Seguirono anni di leggendarie peregrinazioni, che lo portarono ad attraversare in lungo e in largo l'Europa - acclamato e perseguitato, venerato talvolta come un santo - e a spingersi fino in Africa e in Asia, alla ricerca di ciò che definiva l'archeo e la quintessenza, cioè i princìpi attivi dell'esistenza, dai quali scaturisce la vita.

Gli si attribuirono guarigioni miracolose, operate mediante riti di "simpatia", cioè tendenti a trasferire la malattia dall'infermo a un ani­male, una pianta o altro organismo vivente. È certo che percepì per primo l'esigenza - presa in seria considerazione dalla medicina uffi­ciale soltanto all'inizio del Novecento - di fronteggiare il dolore fisi­co oltre che il male, mediante l'uso anestetico dell'etere e di pillole di laudano, da lui stesso confezionate e dispensate con esiti straordinari, nonostante il sarcasmo degli altri dottori, per i quali non erano che «sterco di ratto». Ma i suoi prodigi più inquietanti sarebbero avvenuti nel corso di esperimenti tendenti a riprodurre in vitro la vita biologi­ca. Al suo nome si associa infatti il tentativo di generare l'homuncu­lus, mitica creatura a imitazione umana che nell'immaginario rinasci­mentale parrebbe anticipare una idea di fecondazione artificiale. Anche se nella sostanza non si trattò d'altro, per medici e occultisti, che del vano sogno di emulare Dio.

In quest'ottica superomistica si pongono le sue profezie, attraverso le quali si sforza soprattutto di mettere in guardia l'umanità futura contro l'uso malinteso della scienza. È fortemente polemico, in que­ste predizioni, verso «coloro che feriscono il sole» o che addirittura «indossano la veste del sole». È evidente il riferimento all'uso impro­prio delle energie naturali, aggravato dall'intento di servirsene per ambizione, vanità e orgoglio.

Per gli scienziati che tenteranno in futuro di asservire il sole a fini di potere Paracelso prevede un rovinoso destino: «II sole è vita, ma nelle mani degli uomini diventerà morte».

Non sarà solo la gestione irresponsabile della scienza, tuttavia, a generare nell'umanità un diffuso malessere. Paracelso preconizza per i secoli a venire confusione sociale, ansia e disorientamento: «Tutti correranno... Ci saranno tante teste a cercare il proprio vantaggio, e il giusto verrà scacciato».

È critico nei confronti del sistema democratico di governo, cui attri­buisce la responsabilità del generale degrado: «Governeranno molte teste, e nessuno si renderà conto che una sola dovrebbe governare». Verrà però un «tempo nuovo», nel quale l'ordine sarà ristabilito con metodi forti: «Le troppe teste cadranno... Una sola sarà la testa, una la spada».

Allora bisognerà distruggere «per diventare adulti». E soltanto cre­scendo, paradossalmente, l'uomo ritroverà «la civiltà dell'infanzia». Soltanto crescendo potrà «tornare a vivere come i bambini, che non conoscono astuzia e raggiro». Leoni feroci e ruggenti diventeranno mansueti e dolci come fanciulli, e anche i sapienti potranno ridimen­sionare la loro erudizione, poiché finalmente l'umanità «compren­derà che il grande sapere non porta pace ma agitazione». Per il messaggio che cercano di trasmettere all'uomo contempora­neo le profezie di Paracelso sono di fatto un corollario civile delle sue ricerche sul mistero delle forze operanti in natura. I suoi studi sui meccanismi dell'esistenza biologica si spinsero oltre ogni soglia di credibilità scientifica, inseguendo illusioni che parvero concretizzarsi nella facoltà di dominare il proprio destino al punto da cambiare sesso. Venne riscontrato sul suo corpo, dopo la morte, una sorta di ermafroditismo che, se procurato intenzionalmente da lui stesso, lascerebbe supporre la volontà da parte sua di verificare in sé l'originaria perfezione dello stato edenico primordiale. Un tentativo di sfiorare l'immortalità attraverso il brivido della creazione, che però non valse ad assicurargli la longevità.

Paracelso morì a quarantasette anni, nel 1541. A Salisburgo, dove aveva finalmente trovato protezione, dopo tanto girovagare, presso la diocesi di un vescovo progressista, sinceramente interessato al suo sapere. Volle lasciare nell'epitaffio dettato per la propria tomba un chiaro segno della sua convinzione che vita e morte altro non fossero se non due momenti di una medesima operazione. Si legge sulla lapi­de, nel cimitero salisburghese di San Sebastian:

Anno mdxli die XXIII septembris

vitam cum morte mutavit.2

 

1 Johann Tritheim, latinizzato in Trithemius (1462-1516), abate benedettino di Sponheim, fondò una società iniziatica (la Sodalitas celtica) e praticò «la buona e santa scienza della magia», come la definisce, con riferimento particolare alla Cabala. Ciò non scalfì la sua devo­zione per la Vergine e il suo rigore monastico. Dotato di una cultura enciclopedica, si dedicò soprattutto allo studio dei codici cifrati, elaborando alfabeti segreti e sistemi di comunicazione «sovrumani», di cui parla nell'opera denominata Steganographia.

2 «II 23 settembre dell'anno 1541 mutò la vita in morte».

 

 

Il virus di Leonardo

 

La fama di alcuni grandi personaggi del Rinascimento nei rispettivi campi di attività fu tale da far passare in secondo piano molte altre particolarità del loro ingegno, inclusi certi lampi di veggenza espressi talvolta con sorprendente precisione, talaltra in forma enigmatica, alla maniera di quei profeti che preferirono occultare dietro un velo ermetico il significato di quanto avevano veduto. Più che a un'auten­tica vocazione profetica, dunque, le loro predizioni vennero attribuite a geniali intuizioni, forse dovute alla lungimiranza propria di una superiore sensibilità culturale.

Certamente dotato di una naturale predisposizione a rivolgere verso il futuro la propria curiosità fu Leonardo da Vinci, autore di profezie distribuite nei suoi codici, le quali rappresentano in qualche modo il versante visionario di un genio che pure aveva tentato di tradurre in pratica - mediante invenzioni poco praticabili, però, come le macchi­ne volanti - i propri stimoli creativi.

Si tratta di aforismi e sentenze su eventi futuri, non sempre decifra­bili. In certi casi il significato è chiaro, esplicito: «Verrà alii omini tal crudel malattia, che colle proprie unghie si stracceranno le loro carni». Non c'è metafora, è tutto semplice: si capisce che ci sarà una tremenda epidemia, senza sapere dove né quando, ed è tutto. Leggiamo altrove che «usciranno dalla terra animali vestiti di tene­bra, i quali [...] assaliranno l'umana generazione, e quella da feroci morsi fia, con fusion di sangue, da essi divorati». Qui la metafora c'è. Questi animali che vengono fuori dalla terra per sterminare l'umanità rappresentano qualcosa di diverso da quanto l'immagine suggerisce. Potrebbe trattarsi di germi, anche perché rivestiti di tenebra, cioè invisibili. Ma è solo una congettura. Il significato resta oscuro.

Allo stesso modo, si capisce di che parla quando dice: «Vedo di novo venduto e crocifisso Cristo, e martirizzati i suoi santi». Annuncia, con ogni evidenza, nuove persecuzioni per la Chiesa, che in futuro - come questo secolo ha mostrato - non mancheranno. Non si capisce a che alluda quando dice: «Corpi sanz'anima per sé mede­simi si moveranno, e porteran con seco innumerabile generazione di morti, togliendo le ricchezze a' circustanti viventi».

È una scena da film dell'orrore, interpretata da zombi che derubano i vivi. Ma questa immagine dei vivi perseguitati dai morti ricorre più volte nelle sentenze di Leonardo:

«Molti morti si moveran con furia e piglieranno e legheranno i vivi...».

«Vedrassi i morti portare i vivi in diverse parti».

«Usciranno li omini dalle sepolture convertiti in uccelli, e assaliran­no li altri omini tollendo loro il cibo dalle proprie mani a mense».

Tutto questo è leggibile forse come un'allegoria del rimorso. Il ricordo dei morti lega gli uomini, li trascina lontano dalle quiete dimore, toglie loro la volontà di nutrirsi.

Ritorna l'ipotesi di un virus letale in un'altra oscura sentenza: «Scorrerà per l'aria la nefanda spezie volatile, la quale assalirà li omini e li animali, e di quelli si ciberà con grande gridore: empieran­no i loro ventri di vermiglio sangue». La profezia parrebbe riferibile in particolar modo alla guerra batteriologica e alla natura volatile dei veleni diffusi dalle armi chimiche, destinati a colpire indistintamente uomini e animali. Il che potrebbe anche valere come allusione alle conseguenze di un'apocalisse ecologica.

A quest'ultima, d'altro canto, Leonardo sembra volersi riferire in più punti:

«Vedrassi le piante rimanere sanza foglie e i fiumi fermare i loro corsi [...] e i maggiori alberi delle selve essere portati dal furor dei venti dall'oriente all'occidente».

«Li alberi e li arbusti delle gran selve si convertiranno in cenere».

«Li animali d'acqua moriranno nelle bollenti acque».

«Al fine la terra si farà rossa per lo infocamento di molti giorni, e le pietre si convertiranno in cenere».

Lo sconvolgimento è tale da sovvertire l'ordine naturale dei luoghi e delle cose: «Vedrassi tutti li elementi insieme misti transcorrere con gran revoluzione ora inverso il centro del mondo, ora inverso il cielo, e [...] dalle parti meridionali inverso il freddo settantrione, [...] dall'o­riente inverso occidente».

Perfino gli uomini, come le piante e ogni altro elemento, «scambie­ranno emisferio immediate».

 

 

Giordano Bruno: dal cosmo la catastrofe

 

II disastro ecologico e la mancanza d'amore in una umanità sempre più condizionata dall'avidità e dall'ambizione individuale furono pre­visti con desolante chiarezza anche da Giordano Bruno, tragico eroe del libero pensiero, prima di essere bruciato come eretico. Il filosofo vede al di là della sua vita un mondo nel quale «il denaro e l'egoismo regneranno sovrani». Un mondo nel quale «si vedranno santi e madonne dappertutto, miracoli e avvenimenti straordinari e ruote di fuoco nel cielo». Ma non sarà un mondo pio. Al contrario, le scienze occulte dilagheranno, facendo proseliti: «Astrologia, magia, alchimia e satanismo coinvolgeranno molte persone». Non sarà una semplice moda, poiché «Satana sarà presente sulla terra, e molti lo seguiranno».

Anacronisticamente, nel mentre l'umanità si lascerà corrompere da queste antiche credenze, il progresso scientifico porterà l'uomo oltre i confini dell'universo. All'approssimarsi della distruzione finale «l'uomo viaggerà nel cosmo e dal cosmo apprenderà il giorno della fine».

Anche Bruno è dunque convinto che il potere dell'uomo sull'uni­verso non servirà a salvarlo, anzi «proprio quando l'uomo si crederà padrone del cosmo molte ricche città faranno la fine di Sodoma e Gomorra».

I segni nel firmamento saranno simili a quelli preannunciati da qualsiasi apocalisse: il cielo si ripiegherà su se stesso, accartocciandosi, e «un sole nero inghiottirà nello spazio il sole, la luna e tutti i pianeti che girano intorno al sole».

È importante quest'ultima annotazione, che al di là dell'intento pro­fetico attesta come Bruno avesse abbracciato la visione copernicana del mondo, per la quale non era più la terra il centro dell'universo, prima che trovasse conferma sperimentale e matematica nell'opera di Galileo e di Keplero. È un dato che dimostra quanto lontano fosse ormai questo sfortunato filosofo dalle illusioni rinascimentali. Si può ben dire che la sua esecuzione, il 17 febbraio del 1600, rientrasse tra i grandi riti di passaggio dalle certezze antiche ai dubbi dell'evo moderno.

S'inaugura nei bagliori del suo rogo una stagione malinconica, che non ha più nulla della luminosa magnificenza di un tempo. Anche i colori del mondo circostante vanno sbiadendo e stemperandosi nei toni tenui - ma via via sempre più cupi - del grigio e della notte. Il nero diventa il colore più comune agli albori del Seicento, nei costumi, negli arredi e negli addobbi. Il perché si capisce. L'Europa veste il suo lutto per la morte dell'uomo rinascimentale, per il dissolvimen­to cioè dell'ideale classico, dell'ultimo grado di perfezione raggiunto da quell'armonico equilibrio di corpo e intelletto che le statue di Fidia e i dialoghi di Platone avevano consacrato al primato nella natura.

Ora, mentre le fiamme consumano il corpo straziato di Bruno, quel primato è perduto. Nel trapasso da un evo all'altro non ci sono più speranze per quanti avevano ritenuto di essere, nel proprio orgoglio, al centro dell'universo. Le nuove intuizioni scientifiche, le audacie di maestri pronti a sfidare il patibolo per un'idea, frantumano le ultime sicurezze, provocando al tempo stesso una smodata urgenza di auste­rità - di nero, appunto - e di rigore.

Senza preavviso, al volgere del secolo, l'uomo si trova declassato da protagonista del creato - da specchio e modello della perfezione divina  a frammento di un indecifrabile vuoto. Non è più lui l'arbi­tro dell'universo, ma quel ch'è peggio è che si rende conto di non esserlo mai stato. La nuova verità è impietosa: il mondo eliocentrico di Copernico è talmente sconfinato e insondabile che non soltanto l'uomo non può esserne al centro, ma nemmeno in grado di misurarlo e di conoscerlo.

Mentre Giordano Bruno muore a Roma, Shakespeare a Londra scri­ve l'Amleto, tragedia del dubbio mascherato da pietà filiale. Anche lì finisce un'epoca d'oro, dissolvono le certezze dell'età elisabettiana, rinascimento inglese. Sono gli stessi intellettuali a sopprimerle, ma poi ad esserne orfani. Nel Giulio Cesare, un anno prima, un figlio aveva ucciso il padre; nell'Amleto lo vendica, sgomento che ci siano «più cose tra cielo e terra» di quante possa contenerne la filosofia umana.

L'abdicazione non è indolore. All'affiorare del dubbio si contrappo­ne l'integralismo, il risentimento, il pregiudizio. Non si rinuncia a un primato di tale portata senza reagire con la più crudele determinazio­ne.

Giordano Bruno è tra i primi a farne le spese. Subiranno un incre­mento spaventoso, dopo la sua morte, le attività dell'inquisizione, sia nel mondo cattolico che in quello protestante. Verrà in specie pianifi­cata e riorganizzata la "caccia alle streghe", con una ferocia metico­losa, notarile, ostinata, senza riscontro nelle pur sanguinose persecu­zioni dei secoli precedenti.

Rientreranno tra le vittime di questo crudele pregiudizio numerosi astrologi. profeti e veggenti della più diversa estrazione.