Tratto da: Le Grandi ProfezieAutore Franco Cuomo

Newton & Compton Editori

 

Mille anni un solo giorno���������������

Del futuro sappiamo solo che verr�. Del presente abbiamo una co�gnizione il pi� delle volte confusa, se non del tutto distorta, dato che ci siamo dentro e che si tratta di una realt� in divenire, dagli esiti incerti. La sola certezza � nel passato, unica fase davvero immutabile della no�stra esistenza. Possiamo rimuoverlo, dimenticarlo, ma non cancellarlo; possiamo fraintenderlo, travisarlo, mai modificarlo.

Eppure noi non viviamo che proiettati nel nostro futuro. �Non pen�siamo quasi mai al presente�, scrivevaPascal, �e se ci pensiamo non � che per trarne indicazioni su come disporre del nostro avvenire�. Poi�ch� il presente, instabile com’� tra l’istante che lo ha preceduto e quel�lo che seguir�, non ha una sua identit� riconoscibile. Nel momento in cui lo attraversiamo ci sfugge. Non pu� rappresentare un obiettivo, nemmeno allorquando coincide con un risultato desiderato, poich� nell’attimo stesso in cui lo si coglie si pone il problema dell’uso da farne per il futuro, delle responsabilit� che ci pone, e dei rischi cui ci espone, a cominciare da quello di perderlo.

Una realt� cos� sfuggente non pu� fungere da traguardo, ma da nuo�vo punto di partenza per un progetto di vita che a sua volta ci apparir� consumato nel compiersi. E perci� passato e presente non sono che de�gli strumenti per condizionare la sola realt� che davvero ci sta a cuore, cio� quella futura. Cos� �noi non viviamo�, concludeva Pascal, �ma speriamo di vivere, e disponendoci sempre ad essere felici � indubbio che non lo saremo mai, se non aspirando a una beatitudine diversa da quella di cui si pu� gioire in questa vita�.

Si pu� condividere o meno l’aspirazione a quella �beatitudine di�versa� di cui parla il filosofo, ma il suo ragionamento rende un’idea chiara delle necessit� esistenziali che hanno generato nell’uomo l’ur�genza di conoscere, da sempre, il proprio futuro. Alla quale si � cer�cato di dare risposta, in tempi e civilt� diverse, mediante il ricorso a pratiche divinatorie che talvolta si affidavano al caso, talaltra agli d�i.

Agli indovini che parlavano per proprio conto e ai sacerdoti che interpellavano


gli oracoli nei templi si sono poi aggiunti nei secoli pro�feti delegati dalla volont� popolare o dalla divinit� stessa, nella tra�dizione biblica a recepire i messaggi di Dio e divulgarli. A questi ul�timi si sono infine sovrapposte, in et� cristiana, le manifestazioni di�rette di entit� che attraverso apparizioni e altri eventi ritenuti miraco�losi dai credenti o comunque inspiegabili a lume di ragione hanno comunicato predizioni di interesse universale. Fenomeni di questo ge�nere si sono andati intensificando, anzich� diradarsi, in et� moderna, suscitando una risonanza che ha raggiunto il proprio culmine in vicen�de come quelle di Fatima e di Medjugorje.

Se si scorre la storia delle grandi profezie che hanno alimentato at�traverso i secoli le pi� indecifrabili fantasie umane e continuano ad alimentarle tutt’oggi si scopre che corrispondono a una matrice co�mune, dalla quale scaturiscono sorprendenti similitudini nei pi� famo�si oracoli di tutte le religioni, da quelli degli antichi caldei e degli egi�zi alla lettera evangelica, coranica e talmudica. Senza escludere le si�bille della paganit� grecoromana e gli sconquassi cosmogonici della mitologia germanica.

Non si sottraggono all’influenza di quest’originario sapere oracolare certi grandi maestri medievali e rinascimentali o d’et� decisamente moderna come Gioacchino da Fiore e Paracelso, Nostradamus, Don Bosco che ne ripropongono la sostanza, sia pure attraverso il filtro delle rispettive ispirazioni.

Dominano in questo tessuto visionario ancestrali paure e luminose speranze, destinate a confondersi tra loro in uno scenario di morte e di rigenerazione che ha la sua espressione pi� compiuta nell’Apocalisse di Giovanni, la pi� complessa e ispirata profezia mai pronunciata sui destini finali dell’uomo, ma non certo l’unica.

A volerle interpretare nella loro chiave pi� accessibile, che � quella del monito su come comportarsi per evitare la catastrofe di volta in volta annunciata, queste profezie all’apparenza spaventose dimostre�rebbero in realt� il contrario di quanto traspare in superficie; e vale a dire che la fine del mondo, sebbene incombente, non ci sar�. E facile intuirne, da una elementare decrittazione dei testi, la ragione.

Al di l� comunque delle immagini rilevabili oltre la soglia ermetica di ciascun oracolo e della loro interpretazione, che pure rientra tra gli scopi di questa ricerca l’intento prevalente del libro � quello di trac�ciare una storia delle “grandi profezie” seguendo il filo dell’attesa escatologica cui tutte corrispondono. Con particolare riguardo ai loro significati plausibili, al contesto civile in cui furono espresse, alle mo�tivazioni che le ispirarono.

Profezia � rivelazione o annuncio di qualcosa prima che accada, dal greco pro (prima) e phanai (parlare).


Riferirla in tempi successivi implica che se ne debbano cercare i riscontri nella storia, data la neces�sit� di distinguere tra ci� che sarebbe dovuto accadere e non � accadu�to, ci� che sarebbe dovuto accadere ed � accaduto, ci� che ancora do�vrebbe accadere. A quest’ultima eventualit� sono generalmente assi�milabili le profezie davvero “grandi”, che per loro natura investono le sorti estreme del genere umano e sono per questo proiettate verso un indefinito futuro, ancora remoto, secondo alcune, o gi� imminente, se�condo altre.

Ma i tempi degli oracoli, per quanto scanditi a volte da esplicite date, non sono rapportabili al calendario profano. Poich� nel linguaggio del�la divinazione un giorno pu� valere mille anni, come scrive l’apostolo Pietro, e mille anni un solo giorno.