Renè Laurentin

 

DIO ESISTE  ECCO LE PROVE

 

PIEMME POCKET

 

 

DIO E' MORTO?   Seconda

 

 

Dall'Invisibile al Sopravisibile

 

Come uscirne? Sembra un’impresa difficile, poiché Dio è invisibile, e noi, uomini fatti di carne e di sangue, non conosciamo nulla se non per mezzo dei nostri oc­chi e dei nostri orecchi. Per noi, l’Invisibile non esiste. Dio è inconoscibile.

Ma attenzione! La maggior parte delle cose che co­nosciamo, non le vediamo: questo vale per le particelle, gli atomi, i microbi; vale per le galassie, per numerosi paesi del mondo e per il passato; e vale anche per i fatti della storia in cui non eravamo presenti. Lo sappiamo solo per mezzo di testimonianze, di calcoli, di ragiona­menti, di esperimenti. La maggior parte delle cose non le vediamo direttamente. Nondimeno, ammettiamo che tutto ciò esiste, talvolta contraddicendo i nostri sensi. Quanto a Dio, egli, per la verità, non è invisibile, bensì sopravisibile. La sua esistenza è troppo densa, troppo profonda, per essere evidente ai nostri occhi. Egli si na­sconde, dal momento che — come dice la Bibbia — «non si può vedere Dio senza morire».

Si può paragonare la densità trascendente di Dio con la superdensità dell’Universo nascente, nel momento del Big-Bang? Si trattava di una formidabile concentra­zione di energia in uno spazio minuscolo: infinitesima­le, come vedremo. Eppure, già tutto vi era contenuto, e l’esplosione di queste energie ha dato vita all’universo ordinato, che oggi si distende fino a miliardi di anni lu­ce: distanze incommensurabili, che non abbiamo la mi­nima capacità d’immaginare.

Ma la concentrazione originale dello spazio non era che una densità di energia. La densità di Dio è di un al­tro ordine. Non è «materiale», ma spirituale. Non è quantitativa, ma qualitativa. E quella che la Scrittura descrive sinteticamente quando dice: Dio è Amore. Dio assomiglia più all’umiltà dei poveri che alla potenza dei ricchi, insegna sempre la Scrittura. La sua creazione dello spazio-tempo che noi abitiamo, e forse anche di altri spazi (o non-spazi) di cui non possediamo alcuna nozione, rendono evidente la ricchezza trascendente dell’Amore. Tutto ciò lo comprendono coloro che ama­no, i Santi. Ed è ciò che noi dobbiamo imparare.

Per questo bisogna innanzitutto scostare il velo che ci copre gli occhi: per apprendere a vedere la realtà dal­la parte dell’invisibile, ossia per cogliere il punto gene­tico del visibile.

In tal modo i fiumi sotterranei che scorrono nell’om­bra sono la sorgente dei così numerosi bei fiumi che dal­le nostre montagne scorrono a valle; ma c’è una diffe­renza: il fiume sotterraneo e quello visibile sono omoge­nei. E la stessa acqua nascosta, che appare alla luce del sole. Ma Dio invisibile concentra in sé un valore e una ricchezza spirituale d’un altro ordine. La scienza è giun­ta a un’ammirevole conoscenza della meccanica del mondo. Bisogna scoprirne adesso la sua ragion d’essere.

 

 

Oltre l’ansia

 

Dunque: perché l’uomo è ansioso? E ciò non ha nul­la a che vedere con la sua ignoranza su Dio?

L’animale, limitato dal suo istinto ben definito, non è ansioso, vive nell’istante. Può conoscere la paura, ma non l’ansia (diffusa e senza un motivo ben specifico). Dopo la morte di Dio, oggi un gran numero di persone, sia Gide sia l’uomo qualunque, ognuno a suo modo, aderiscono al modello della felicità animale. Esorcizza­no l’ansia vivendo nell’istante, nell’istinto, nella distra­zione continua, evitando di interrogarsi sulla notte del passato, quando non esistevano, e sulla notte della mor­te che li attende.

Dio ha dato agli uomini la coscienza e la libertà per una meravigliosa avventura eterna. Quelli che non lo sanno risolvono il problema puntando in basso: all’o­blio sistematico.

Alcuni vi mettono in gioco buoni sentimenti, addirit­tura nobiltà. Non è il caso di disprezzarli. Sartre ha da­to una risposta radicale a livello filosofico: il mondo è assurdo. L’uomo si domanda chi ve lo ha «gettato», non sa da dove viene né dove va. La coscienza non è che un venir meno dell’essere, diceva. La soluzione, sa­rebbe di accettare questa assurdità del mondo e di inscrivere in esso un destino coerente, generoso, autenti­co, con la sola risorsa di cui disponiamo: la libertà. Non siamo che libertà, insisteva. Essere uomo, significa ac­cettare questa condizione e questo potere creatore, sen­za fughe né compromessi. E l’estrema possibilità a no­stra disposizione. E Sartre visse questa morale con una nobiltà, una fierezza, e un disinteresse che impone ri­spetto. In nome di essa, rifiutò un premio Nobel. Col­tivò la sua libertà fino alla fine, con un ammirevole co­raggio. Non fu un disperato. Teneva delle finestre aper­te al di là del suo ateismo. Ma, senza volerlo né saperlo, tolse la speranza e condusse al suicidio parecchie perso­ne, annientate da questa concezione di un mondo as­surdo, dove esse non vedevano altra consolazione se non le imprese effimere della loro mediocre soggettivi­tà. Sartre ha vinto l’ansia grazie a delle risorse eccezio­nali. Si è gettato senza soluzione di continuità in una se­rie ininterrotta di battaglie, rispetto a cui, delle volte, ha poi dovuto fare marcia indietro, per obbedire ai detta­mi della sua onestà personale.

Altri, invece, individuano risposte soltanto mediocri. Tentano di evitare l’ansia a buon mercato. Ma l’uomo, essendo uomo, resta là, in agguato, e qualche volta esplode all’improvviso, irresistibilmente, perché non sa da dove viene né dove va, dal momento che non co­nosce Colui che ci ha creati e che ci attende come un Padre. Di conseguenza, ai giorni nostri l’uso di tran­quillanti va per la maggiore. Danno a chi ne fa uso un minimo di euforia, senza però offrire alcuna risposta alle questioni fondamentali dell’esistenza.

E facile capire perché si fa ricorso ad essi: perché l’angoscia è insopportabile. Io l’ho toccata con mano per diversi anni. Era, penso, una tentazione che portava all’autodistruzione, poiché l’angoscia spinge al suicidio, tentativo di uscire da un nulla apparentemente senza uscita. Ciò era senza dubbio dovuto alla mia fede trop­po superficiale e alle mie scelte troppo dispersive. Tro­vai Dio in un modo più profondo, dopo aver percorso un lungo tunnel. Ho ritrovato con Lui e per mezzo di Lui una grande pace e una grande gioia, a dispetto del­le traversie e delle prove che ci toccano in questa vita. Quando stavo vivendo questa crisi ansiosa che mi di­struggeva — tanto che ero diventato estraneo a me stes­so — mi sono stati prescritti dei tranquillanti. Li portavo nella mia borsa, però non li ho mai usati. Non so dire come mai. Era ancora l’ansia che mi tratteneva dall’en­trare nell’ambito dell’artificiale, oppure il mio desiderio d’autenticità? Quelli sono stati momenti difficili. Ero là senza essere là. Facevo ciò che dovevo fare, come se non lo facessi, come se ci fosse un altro al mio posto. Questa esperienza mi è stata utile per aiutare diverse persone vittime dell’ansia; un’ansia aggravata dalla per­cezione che potesse apparire bizzarra e ripugnante agli occhi degli altri. Stando alla mia passata esperienza, che ho poi compreso una volta guarito, posso dire loro: non inquietatevi.

La vostra ansia non si vede. Avete voglia di parlarne, ed è allora che sembrate strani. Ma se non ne parlate, nessuno la vede, Rimanete normali e lo sarà anche la vostra attività. Talora l’ansia vi rende anche più pru­denti, più riflessivi; la vostra azione è di qualità miglio­re, è più intelligente, più ponderata, più esigente, più profonda di quella dello sciocco felice. Siete previdenti ed evitate un gran numero di errori e di guai.

Questo piccolo consiglio è stato d’aiuto a persone che l’angoscia spingeva al suicidio. Ma questi consigli a livello psicologico sono solo palliativi. La soluzione sta alla radice: in Dio, che bisogna ritrovare grazie alla più profonda delle psicanalisi, come vedremo.

Dio è morto nei nostri cuori. Noi l’abbiamo ucciso per liberarci da non so quale costrizione. Altri l’hanno ucciso in noi. La nostra civiltà materialista, con la pub­blicità che eccita i desideri, l’ha sommerso sotto un di­luvio di pulsioni superficiali. Liberati dalla paura di Dio, eccoci afferrati dall’ansia del vuoto a cui siamo ri­dotti. E tempo di aprire gli occhi della nostra intelligen­za e del nostro cuore verso l’Unico Necessario, sola so­luzione dei nostri problemi.

 

 

Invito al viaggio

 

Il percorso di questo libro vuole essere un aiuto a ri­trovare Dio grazie a nuove evidenze, ivi comprese quel­le scientifiche, poiché solo la sua esistenza è necessaria, essendo l’origine di tutte le altre e di tutta la verità. Non sorgiamo più dal nulla o dall’assurdo, ma dall’Amore, e verso l’Amore andiamo. Se la nostra ultima tappa sarà l’ascolto di ciò che Dio dice di Se stesso, è però bene che si cominci ad ascendere verso di Lui con la sola ri­flessione razionale: quella degli scienziati contempora­nei, poi quella dei filosofi che hanno offerto prospettive illuminanti in questo ambito. La nostra salita comincia come se fosse un sentiero di montagna, lungo il quale si scopre progressivamente il paesaggio, giacché ascendia­mo verso Dio per mezzo della Creazione che ne riflette la presenza, e per mezzo dell’uomo creato a sua imma­gine. Il percorso può essere a tratti difficile. Ma ci farà comprendere progressivamente cose che non conoscia­mo, di un altro mondo. Ricollocherà la ragione al suo posto. La raccorderà con la strada che le è propria.