Renè Laurentin

 

DIO ESISTE  ECCO LE PROVE

 

PIEMME POCKET

 

LE SCIENZE ERANO CONTRO DIO.

OGGI CONDUCONO A LUI. PERCHÉ? 

 

 

3. MISTERO DELLA VITA

E FALLIMENTO DEL DARWINISMO

 

 

Gli irriducibili segreti della vita

 

La sorpresa è ancor più clamorosa per quel che con­cerne la vita. Cos’è questo meccanismo che si aggiusta, si rigenera e si riproduce ringiovanendo di generazione in generazione? La dimensione qualitativa di questo ambito trascende quella quantitativa.

Il biologo che giungesse a produrre, partendo dalla materia inanimata — o anche dal DNA, molecola carat­teristica della vita —, una mosca, una zanzara, oppure una cellula vivente capace di moltiplicarsi, sarebbe il più grande premio Nobel di tutti i tempi.

A livello animale, che dire di questi strumenti infor­mativi davvero inauditi che sono l’occhio, l’orecchio, il fiuto dei cani poliziotto o il radar dei pipistrelli? Che dire dell’immaginazione degli animali, che si può perce­pire nei riflessi del cane addormentato quando sogna una buona zuppa, la caccia o il combattimento?

 

 

Mistero dell’uomo

 

La comparsa dell’uomo, cioè dell’intelligenza, dello spirito libero e responsabile che oltrepassa l’istinto, co­stituisce un altro salto qualitativo di incalcolabile por­tata.

Il darwinismo cercava di spiegare il funzionamento meccanico del cervello per mezzo di una molecola re­sponsabile di tutte le funzioni. Questa ricerca ha avuto successo, salvo che a proposito della funzione principa­le: la coscienza, lo spirito. Le esperienze extracorporali studiate in questi ultimi anni da numerosissimi medici e scienziati americani, attestano che la coscienza è in grado di funzionare senza supporto molecolare, al di là del cervello.

Ma il cervello, questo strumento veramente meravi­glioso, come può essere così perfetto nelle operazioni che svolge a servizio dello spirito e della coscienza? Questo è un miracolo che supera le più clamorose gua­rigioni avutesi a Lourdes o altrove. La fabbricazione è più misteriosa della sua riparazione.

Secondo Darwin, l’evoluzione ascendente è spiegata da due fattori: il caso e la selezione naturale a vantaggio del migliore. Ma questa spiegazione è insostenibile. Con essa si tornerebbe a dire che se si gettassero a ter­ra, a caso, tutte le lettere di quel grande poema greco che è l’Iliade, e si ripetesse questo gesto per miliardi e miliardi di volte, si otterrebbe una volta su 10 alla po­tenza 1000 o i miliardo, l’Iliade stessa. Ebbene, no! Aggiungere degli zero è come aggiungere niente. Non si avrebbe mai l’Iliade. E il caso non sarebbe in grado di porre in essere né la meccanica di questo mondo, e neppure un organo come l’occhio o l’orecchio, che superano in ogni senso tutti i meccanismi scientifica­mente immaginabili; così come non sarebbe capace di produrre il pensiero umano e le sue capacità presso­ché infinite. Il caso non possiede l’inventiva e neppure la coerenza.

In breve: ogni cosa invita a vedere, oltre i mecca­nismi del cervello, un principio d’altro ordine. Lo spirito sembra guidare anche la formazione di questo organo connaturale, che in tutto governa e supera, poiché possiede quel dinamismo prodotto da un ap­petito d’immortalità, che gli altri animali invece igno­rano.



Vincere la morte?

 

All’inizio del XX secolo, lo scientismo osava procla­mare che la scienza avrebbe vinto la morte, prolungan­do indefinitamente la vita. Ma questa utopia era poco credibile, e ha fatto in fretta il suo tempo. L’uomo ha dovuto rassegnarsi a sapere di essere mortale. Ma vi si è rassegnato male. Egli ha deciso di vivere nell’istan­te, cercando di nascondere questa verità, come ha fatto, ad esempio, André Gide. La civiltà era impegnata a ca­muffare la morte. Ed ecco che, in questi ultimi anni, il problema della sopravvivenza, che senza posa abita nel­l’uomo, riemerge in diversi modi.

 

a)           In quello — tutto da ridere — delle imprese ameri­cane di criogenia, che si offrono di congelare i corpi dei malati prima della loro morte, per poi risuscitarli quan­do la scienza sarà capace di curare la loro malattia e procurargli una nuova longevità. Questi annunci hanno trovato una clientela persino in Europa. I loro (fortuna­ti) clienti, si moltiplicano.

 

b)    Nella confusa credenza a proposito della reincar­nazione, che promette una sopravvivenza mobile e

            indefinita e che, in pochi anni, ha conquistato il 20% degli europei.

 

c)   In maniera più seria, per quanto ambigua, presso quei medici, statistici e altri scienziati americani che   hanno studiato le esperienze extracorporee di chi, in occasione di un incidente, ha toccato con mano la mor­te,    e il cui corpo è tornato in vita. Questi ricercatori, che hanno avuto una grande eco nell’opinione pubbli­ca, hanno       riabilitato la sopravvivenza.

 

Questi fenomeni sorprendenti, accanto ad altri, indica­no fino a che punto la sete d’immortalità abita nell’uomo.



Quando il ridicolo uccide

 

A livello puramente scientifico, la teoria di Darwin — che spiegava l’evoluzione con minuscole mutazioni casuali e con la loro selezione naturale — risulta essere totalmente superata. Non si sono mai potuti ricompor­re gli anelli di quelle supposte evoluzioni, ma solamente i due estremi di specie analoghe, con rari ipotetici inter­mediari. Il resto lo si suppone allegramente.

Marco Schutzenberger, medico, biologo e matemati­co, membro dell’Accademia delle Scienze — studioso di fama internazionale per la sua competenza sulle dimen­sioni biologiche, matematiche e informatiche delle scienze — in Darwin e nei suoi seguaci (sempre in cerca di spiegazioni basate sul gene) vede solo più materia buona per fare ironia.

 

«Haldane, senza sapere il perché (né lo si poteva sapere), era comunque convinto che un gene, questo gene, produceva una piuma, un’ala, un occhio. Se all’animale sembrava bene avere un occhio in più, se lo teneva e se, invece, l’occhio non gli serviva a nulla, esso spariva. Nella letteratura darwiniana, potete trovare spesso esempi di questo tipo. Gli animali che vivono nelle caverne, non avendo più bisogno della vista (è un fatto constatabile) perdono i loro occhi, essendo loro del tutto inutili. Molto bene.

Per gli uccelli, vi sono diverse teorie, divertenti e un po’ con­traddittorie. Alcuni sono convinti che certi animali posseg­gono dei geni che danno loro la capacità di correre sempre più veloci. E che, inoltre, per loro è buono tutto ciò che gli permette di correre più forte e di catturare gli animaletti che inseguono. Così, un giorno, uno di questi poveri rettili — un coccodrillo, a essere precisi — sviluppa delle piccole alet­te e queste gli permettono di correre molto più velocemente (è proprio ciò che, ad esempio, fanno gli struzzi). Dunque, essendo molto contento, comincia a sviluppare le sue ali. In seguito, a forza di avere ali sempre più lunghe, può alzarsi da terra; una volta alzatosi, si accorge (proprio allora!) che può volare. E dunque vola!

C’è un’altra teoria, che del resto è completamente diversa, secondo cui l’animale s’arrampicava sull’albero e poi cadeva giù. Questo capita molto spesso ai serpenti. Se li osservate quando salgono sugli alberi, vedrete che provano un infinito piacere a strisciare sui rami; quando sono in cima, tac! cado­no a terra, si addormentano e poi ricominciano: quantomeno una certa specie che ho potuto vedere in Indonesia. Dunque, se il serpente sviluppa delle piccole ali, cadrà a terra meno pesantemente; e poi, progressivamente, planerà, e dopo aver cominciato a planare — cosa che gli permette di scendere a terra — avrà da ultimo le ali; è allora che esso le sviluppa in maniera tale da poter risalire sugli alberi.

In breve, ci sono due teorie, una teoria per salire sempre me­glio sugli alberi e una teoria per scendere sempre meglio da essi. E se ne possono senza dubbio inventare anche delle altre. Un’idea assai bizzarra è quella che le ali servano soprat­tutto per acchiappare gli insetti. Vi posso garantire che chi ha presentato queste teorie, lo ha fatto senza alcuno spirito comico, pensando che ci si fosse effettivamente incamminati verso la scoperta di un mezzo capace di spiegare l’origine degli uccelli. E la stessa cosa vale per l’occhio e per ciascun organo, o funzione, a cui è possibile pensare. Con sufficiente ingegnosità, si possono trovare schemi in successione che con­ducono da un capo all’altro di una supposta catena evolutiva» (L’homme face à la science, Criterion, 1992, pp. 178-179).

 

Tutto ciò è «datato», per non dire assurdo, conclude M. Schutzenberger.

Più precisamente, è chiaro ormai da tempo che Dar­win non fornisce spiegazioni né in merito agli insetti che impollinano, né al linguaggio delle api (1944), che è valso il premio Nobel a Karl von Frisch, nel 1973 (A. Valenta, pp. 3 16-326).

E infinitamente improbabile che delle pure casualità abbiano potuto inventare l’infinita varietà dei vegetali e degli animali, con straordinari perfezionamenti, di fron­te ai quali i nostri meccanismi e i nostri computer più sofisticati non sono che giochi da ragazzi. Le combina­zioni binarie dei nostri computer, che si connettono in vasi chiusi, non hanno questa capacità interna di adat­tamento né d’inventiva. La vita e lo spirito sembrano inspiegabili senza una finalità e senza l’intelligenza or­ganizzatrice che li guida.

Sono l’intelligenza inventiva e la finalità, che sot­tendono e animano il nostro cosmo. Esse, in maniera nuova e infinitamente più ricca di un tempo, po­stulano l’Architetto pianificatore dell’universo. E si tratta di qualcuno che è ben più di un architetto:si tratta di un Creatore, di cui parleremo nel prossi­mo capitolo.

In ogni dove, filosofi, scienziati e divulgatori voltano pagina. La scienza non spiega il mondo, ma esplora una quantità di cose ignote che la sorpassano e la sorpasse­ranno sempre, e che postula un «oltre» rispetto alla scienza stessa: cioè una causalità, una finalità misterio­sa, senza la quale non è possibile spiegare nulla.