R. BASCHERA - Armenia
Le rivelazioni di Gesù al
pontefice sul futuro dell'umanità
LE
PROFEZIE DI PIO XII
Il tempo della ricostruzione
Il
marxismo si espanderà come una macchia d'olio
«La guerra, per molti popoli,
continuerà, anzi sarà ancora più feroce, perché il marxismo si espanderà in
Europa come una macchia d'olio...».
Finita la guerra, si accesero
grandi entusiasmi. La maggior parte delle persone vennero
contaminate da quella che alcuni chiamarono «la febbre della ricostruzione».
Ma in questo
entusiasmo si nascondeva il virus della speculazione e delle tensioni
sociali.
In quelle giornate deliranti
dell'estate 1945, Pio XII pronunciò una frase bellissima, che contiene un
programma di vita: «È giusto ricostruire
le case, ma prima bisogna ricostruire i cuori».
Non era facile però
«ricostruire i cuori» tra due blocchi minacciosi che si contendevano il
dominio del mondo.
Il Santo Padre, mentre tutti
esultavano per la fine della guerra, era preoccupato.
Un giorno disse: «Per noi la guerra è finita, ma per tanti popoli continua, anzi sarà ancora più feroce,
perché il comunismo si espanderà come una macchia
d'olio».
Pio
XII «sentiva» ciò che sarebbe successo nel futuro. E cioè l'espandersi del comunismo in Jugoslavia, in
Cecoslovacchia, in Romania, in Ungheria, in Bulgaria, in Polonia, per poi coinvolgere
anche la Cina.
«Saranno tempi di sofferenze
e di sangue», disse il Pontefice, riferendosi all'espansione del comunismo. Ma aggiunse: «... Anche il comunismo ha un tempo... Prima
del crollo provocherà però molti disastri».
Pio XII «vedeva» il crollo
del comunismo, quando il comunismo iniziava a
espandersi e quando gli intellettuali e la «buona società» si schieravano
apertamente con «la rossa carta vincente».
Il Pontefice era l'unico a
vedere chiaro, in un momento particolarmente nevralgico della storia
dell'umanità.
Le
difficoltà della nuova generazione saranno molte
«La mancanza della fede e
dell'umiltà renderanno l'uomo fragile, esponendolo a molteplici pericoli...»
.
«Il pericolo che corre la
prossima generazione sarà quello di crescere senza i due supporti fondamentali:
la fede e l'umiltà... Se mancano questi due cardini,
la vita sarà difficile; e alle prime difficoltà, l'uomo si fletterà su se
stesso, rinunciando a lottare...».
Sono parole pronunciate da
Pio XII nel 1950. Si tratta di una visione profetica. E
la conferma la troviamo nelle recenti dichiarazioni di un noto educatore che,
analizzando «il problema droga», arriva a questa preoccupante conclusione: «...
abbiamo una generazione fragile; una generazione con poche speranze, perché
priva di fede... Una generazione con mille problemi, coinvolta in una
competizione frenetica, devastante, nella quale non ha alcun posto l'umiltà...».
Parlando a
un gruppo di madri cattoliche, nel 1950, il Pontefice ricordava anche: «...
che i giovani vanno educati a vivere una vita interiore; vanno educati alla
preghiera e alla meditazione, perché l'uomo che nei momenti difficili non riesce
a rifugiarsi nella preghiera, vive male e non riesce a donare la pace alle
persone che gli sono vicine...».
Anche qui
Pio XII aveva «visto» giusto.
La conferma ci viene data anche da Giovanni Paolo II, che rivolgendosi
soprattutto ai giovani, ha ripetutamente dichiarato
che:
«... oggi si vive male, perché non si è più capaci di vivere una vita
interiore».
Tutto è all'insegna
dell'esteriorità. Nel mondo serpeggia una specie di culto blasfemo per le cose
materiali, per i piaceri della carne.
Manca la fede, manca la
spiritualità, manca l'umiltà: ecco la tragedia della
nuova generazione.
Una tragedia che Pio XII
aveva profetizzato.
Una tragedia che coinvolgerà,
purtroppo, un numero sempre maggiore di giovani, spingendoli spesso sulla
strada disperata della droga.
Non
sarà una guerra a concludere orrende pagine di storia
«Non saranno le armi che concluderanno pagine di violenze e di dolori, ma la
preghiera...»
.
Pio XII, parlando al Sacro
Collegio e ai diplomatici accreditati presso
Sullo stesso argomento
ritornò nel 1956, dichiarando che: «Noi, da parte Nostra, come capo della
Chiesa, abbiamo evitato al presente, come in casi precedenti, di chiamare la
cristianità a una crociata».
E
ancora: «L'aggressione è sempre da condannare».
Ma
vanno ricordate anche «le riflessioni profetiche» del Santo Padre: «La
violenza, da qualsiasi parte provenga, è sempre da condannare... Non saranno le armi che cambieranno pagine di violenza, di
dolore e di sangue... sarà la preghiera che cambierà il mondo».
Il riferimento riguardava
l'Unione Sovietica, che non è crollata in seguito a
una guerra. Anzi, la seconda guerra mondiale l'aveva
vinta, ma la vittoria non era bastata a consolidare il regime.
Quello che sarebbe avvenuto,
Pio XII l'aveva «già intuito». La sua preoccupazione era difatti quella
d'intensificare le preghiere per il popolo russo e per la Chiesa dei Paesi
soggetti all'Unione Sovietica.
E le
preghiere «matureranno» una realtà che negli anni Cinquanta era inconcepibile.
È da aggiungere che siamo solamente
all'inizio della nuova storia della Russia e dei Paesi che formavano l'Unione
Sovietica. Gli aspetti più importanti di questa
complessa storia devono ancora avvenire.
La
Chiesa, come usava dire Pio XII, «sa attendere».
E UNA DECISIONE CHE
NON SERVE PIÙ
«Anche
se Vittorio Emanuele III esce dalla storia, la monarchia non si salva».
9 maggio 1946. Mancano
ventiquattro giorni al referendum della monarchia e Vittorio Emanuele III
abdica in favore del figlio Umberto II.
La notizia giunge in Vaticano.
E Pio XII ha una reazione immediata: «È troppo
tardi!» esclama. E in queste parole c'è un vaticinio:
c'è la netta sensazione che la monarchia non sarebbe riuscita a farcela.
«È una decisione che non
serve più», commentò il Pontefice «perché, anche se Vittorio Emanuele III esce
dalla storia, la monarchia non si salva».
Sono parole che il Papa
pronunciò certamente con disagio, perché era noto «l'apprezzamento del
Pontefice per la monarchia», mentre nella sua
segreteria c'era un orientamento repubblicano. E
questo si può dire anche per monsignor Montini, il futuro Paolo VI.
Gli osservatori politici non
condividevano il parere del Pontefice, che alcuni giornali riportarono dopo la
sua morte.
L'abdicazione del re, in
favore del figlio Umberto, «luogotenente del regno», aveva disorientato
l'opinione pubblica e sembrava che da questo gesto la monarchia potesse trarre nuovi argomenti per la campagna del
referendum.
«Il re», dichiarò allora uno
storico «si era compromesso con il fascismo e il nazismo, mentre il figlio
Umberto nessuno potrà mai accusarlo di essersi
compromesso con il passato regime...».
Si sperava insomma che, con
questo gesto estremo e con l'esilio del re, la monarchia avesse la partita
vinta.
Poche persone andarono a
salutare l'ex re che s'imbarcava sull'incrociatore
«Duca degli Abruzzi», diretto in Egitto.
Finiva un tempo. Ma finiva anche la monarchia, come aveva profetizzato il
Pontefice.
«Tutto si risolverà in modo pacifico... anche se i tumulti desteranno qualche
preoccupazione».
Dall'8 al
14 giugno 1946 il Consiglio dei Ministri è in riunione permanente, anche nelle
ore notturne.
Si teme una guerra civile.
Alcuni giornali parlano di brogli elettorali per il referendum sulla monarchia.
E inizia la polemica sulle schede nulle.
Umberto II è titubante.
Rimanda la partenza.
In diverse città d'Italia si
assiste a scontri sanguinosi, tra monarchici e repubblicani. A Napoli ci sono
sette morti e oltre una cinquantina di feriti.
L'Italia è spaccata in due.
Si teme la guerra civile.
A Roma si diffonde la notizia
che Umberto II intende dichiarare decaduto il governo De Gasperi, per
conferire l'incarico di un nuovo governo a Badoglio.
E
questo finirebbe per portare l'Italia nel caos.
In tanto trambusto, l'unico a
mantenere la calma e la serenità è Pio XII. «Non si arriverà alla guerra
civile», disse «... È un momento difficile, ma se
abbiamo fiducia nell'aiuto divino, tutto si risolverà in modo pacifico».
Il 14 giugno si ritornò
difatti alla normalità. Umberto II partì per l'esilio. E il governo concluse la sua seduta permanente, mentre le piazze
passarono sotto il controllo della polizia.
Rimasero però le polemiche
sulle schede nulle. «Ma anche queste polemiche saranno
destinate a perdersi nel tempo...».
Vediamo difatti che nel 1948,
quando venne eletto presidente della Repubblica Luigi
Einaudi, le schede delle elezioni vennero controllate nuovamente, ma non
emerse nulla di significativo che potesse modificare i dati già resi noti.
Il Risorgimento Liberale continuava
però a mantenere la sua posizione, sostenendo che i dati del referendum erano
stati manipolati.
Era ormai una voce isolata,
che ben pochi ascoltavano. La gente venne
presa nel vortice delle opere di ricostruzione. E il
referendum sulla monarchia passò alla storia.
Come aveva previsto Pio XII.